I dati provenienti dalle principali città italiane confermano quanto il riscaldamento degli immobili contribuisca all’inquinamento dell’aria. Le condizioni climatiche sono un ulteriore fattore di freno al calo dello smog
Da quando è iniziata la crisi legata al coronavirus, le immagini satellitari mostrano che la terra ha iniziato a “respirare”: più il virus si espande, più i livelli di inquinamento, in diverse regioni del mondo, sembrano diminuire. Il motivo di questo miglioramento sono i provvedimenti di lockdown, che hanno causato una sensibile riduzione del traffico e delle attività industriali.
Già il 19 febbraio 2020, Carbon Brief pubblicava uno studio nel quale si annunciava che la Cina aveva ridotto di un quarto le sue emissioni di CO2 e i consumi di energia rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Secondo uno studio della Columbia University, i livelli di CO2 a New York, con la crisi causata dal Covid-19, si sono ridotti del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
L’andamento della riduzione dell’inquinamento atmosferico in Italia ai tempi del coronavirus conferma l’esigenza di efficientamento energetico del patrimonio immobiliare
Cosa sta avvenendo in Italia? I dati, sebbene non definitivi, non sembrerebbero pienamente confortanti. Cala infatti l’inquinamento generato dal traffico, ma al momento non sembra calare la quantità di polveri sottili nell’aria.
Se da un lato la concentrazione di polveri sottili nell’aria è fortemente condizionata dagli eventi atmosferici quali la forza dei venti e la quantità delle precipitazioni, dall’altro è noto che il principale colpevole delle emissioni di CO2 sia il riscaldamento degli immobili.
“A causa delle restrizioni alla circolazione legate all’emergenza Covid-19 c’è stata in un primo momento una flessione soprattutto delle emissioni da traffico veicolare, che però impatta principalmente sulle emissioni di ossidi di azoto. Invece, una percentuale significativa del PM10 viene emessa principalmente dal riscaldamento, cui si aggiunge una parte di particolato di origine secondaria, legato alla formazione di polveri sottili in atmosfera da inquinanti primari, come gli ossidi di azoto e l’ammoniaca”, ha recentemente dichiarato Arpav, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto. Emerge quindi un quadro migliorativo per quanto concerne il traffico, ma non per quanto riguarda le emissioni degli edifici.
Il Sistema a Cappotto merita di essere al centro di una strategia di lungo termine finalizzata all’efficientamento del patrimonio immobiliare italiano
Sulla base dei dati sopra esposti, si conferma l’esigenza di identificare soluzioni – che vadano oltre al blocco del traffico – volte a ridurre in maniera stabile il traffico e ad identificare modalità più “green” di trasporto. Ma i dati esprimono anche un’altra urgenza, a cui è necessario porre rimedio: l’aria nelle nostre città non migliorerà fino a quando non adotteremo provvedimenti in grado di ridurre il consumo energetico per il riscaldamento degli edifici, con una conseguente riduzione delle emissioni.
In questo contesto è imprescindibile il contributo del Cappotto Termico, la più efficace soluzione per l’efficientamento dell’involucro edilizio, per la riduzione dei consumi di energia e delle emissioni dovute al riscaldamento. Affinché il Sistema di Isolamento Termico a Cappotto possa esprimere tutte le sue potenzialità, è però necessario che venga applicato su larga scala e incentivato con misure basate su una visione a lungo termine delle politiche ambientali ed energetiche del paese.
Relazione tra inquinamento e diffusione del coronavirus
Arpa Lombardia dichiara che, per quanto riguarda la relazione tra inquinamento e coronavirus, è troppo presto per trarre delle conclusioni. Anche Arpav, l’Agenzia Regionale del Veneto, invita tutti alla massima attenzione nella divulgazione di messaggi relativi a questa tematica. “Quel che è certo è che ad oggi non c’è evidenza alcuna di un “legame causa-effetto” tra inquinamento atmosferico e diffusione del virus. Le correlazioni talvolta evidenziate non sono infatti sufficienti ad affermare relazioni di causalità. E se, in via generale, si possono correlare fenomeni di ogni genere, ciò non significa che ci sia un legame causale tra le variabili osservate. Una “correlazione” non comporta infatti automaticamente un “rapporto causa-effetto”, che necessita invece di conferme più solide: è necessario a tal fine disporre di molti dati e di serie storiche lunghe, nonché verificare tutte le ipotesi e depurare le analisi dai cosiddetti “fattori confondenti”, si legge in un comunicato di Arpav del 23/3/2020.